IL TRIBUNALE

    Riunito  in  Camera  di  consiglio nella causa iscritta al N.R.G.
34675/2005, letti gli atti del giudizio,
                           Espone in fatto
    Liviera   Zugiani   Carla  con  atto  di  citazione,  ritualmente
notificato,  conveniva la Banca Intesa S.p.a. dinanzi al Tribunale di
Napoli, deducendo:
        che  in  data 28 novembre 2003 Basile Luisa, dipendente della
S.p.a.  Banca Intesa, presso l'Agenzia 559 sita in Napoli alla Piazza
Vanvitelli, con la quale intratteneva rapporti di conto corrente e di
investimenti  finanziari,  a  mezzo comunicazione telefonica, l'aveva
sollecitata  ad  investire la somma a disposizione di trentamila euro
in  obbligazioni  Parmalat, che assicuravano un rendimento pari al 7%
annuo, magnificando la solidita' della societa' emittente, come aveva
avuto  gia' modo di constatare in riferimento ad un precedente minore
investimento;
        che,  avendo  essa  attrice  dato  il  proprio assenso, aveva
ricevuto  nella  medesima giornata conferma a mezzo fax dell'avvenuta
operazione;
        che,  pero', a distanza di pochi giorni, aveva appreso che la
societa'  Parmalat  versava in stato di conclamata decozione gia' dal
mese di febbraio di quell'anno, tanto che la stessa Banca Intesa, che
era  creditrice,  ne  era ben a conoscenza e nel mese di aprile aveva
richiesto l'immediato rientro dell'esposizione debitoria accumulata;
        che Banca stessa, quindi, non aveva esitato a ribaltare sulla
propria   clientela   le  perdite  accumulate,  cosi'  collocando  le
obbligazioni Parmalat S.p.a. 7%, che erano gia' nel suo portafoglio;
        che  la sua preoccupazione aveva ben presto trovato conferma,
in  quanto  solo  un  mese  dopo  l'acquisto  delle  obbligazioni  il
Tribunale  di  Parma,  con  sentenza  del  23  dicembre  2003,  aveva
dichiarato lo stato di insolvenza della societa' emittente;
        che,  pertanto,  la  Banca  aveva agito, non solo in evidenti
condizioni  di  conflitto di interesse, ma in palese violazione della
specifica  normativa  del  1988  che  impone  la  c.d.  attivita'  di
consulenza incidentale in favore del cliente;
        che, pertanto, detta condotta aveva determinato l'invalidita'
dell'atto concluso in danno del cliente.
    Aggiungeva  che  ad  analoga conclusione poteva pervenirsi, anche
con  riguardo alla violazione delle norme imperative degli artt. 1337
e  1338  c.c.,  21  e  23  d.lgs.  n. 58/1998  e  nn. 26, 27, 28 e 29
Regolamento   Consob   n. 11522,   1° luglio   1998,   che  impongono
all'intermediario   finanziario  di  agire  con  specifica  diligenza
nell'assolvimento  del  dovere  di  informazione del cliente; che, in
ogni  caso,  il  comportamento della Banca integrava ipotesi di grave
inadempimento   ai   sensi   dell'art. 1458   c.c.,  determinante  la
risoluzione   del   contratto;   che,   ancora,   sotto  una  diversa
prospettazione potrebbe configurarsi una responsabilita' aquiliana ex
art. 2043  c.c. per lesione di uninteresse - giuridicamente rilevante
- alla trasparenza e correttezza del mercato, protetto dal T.U.F. del
1988  e  dai regolamenti CONSOB; che, infine, la Banca era certamente
incorsa  anche  in  responsabilita'  precontrattuale  per  il mancato
assolvimento  dell'obbligo  di  informazione nella fase di formazione
del contratto.
    L'attrice   concludeva   pertanto,  in  via  principale,  per  la
declaratoria  di  nullita'  degli  ordini di acquisto di obbligazioni
Parmalat  S.p.A.  7%  2000-2007  per  un  valore  complessivo di Euro
35.000,00  impartiti  in  data 27 marzo e 28 novembre 2003 alla Banca
Intesa  S.p.a.  e  da  quest'ultima  esitati,  con  la condanna della
societa'  bancaria  convenuta  alla  restituzione  del prezzo pagato,
oltre   interessi;   in  via  alternativa,  per  la  declaratoria  di
risoluzione  del contratto in danno della societa' bancaria medesima,
con  condanna  alla  restituzione  del prezzo pagato oltre il maggior
danno  costituito  dal  mancato  guadagno  che  avrebbe potuto essere
conseguito da un diverso reinvestimento in titoli di Stato, oltre gli
interessi.
    Si costituiva la Banca Intesa S.p.a. che deduceva la infondatezza
della  domanda  avversa, evidenziando, in particolare, che l'attrice,
peraltro  titolare  di  un  cospicuo  portafoglio  composto da titoli
ampiamente   diversificati,   fin   dal   1999,   aveva  regolarmente
sottoscritto il contratto di mandato per la negoziazione di strumenti
finanziari  ed  altro, cui era allegato il documento sui rischi ed il
formulano  richiesto  ai  sensi  dell'art. 17, comma 1, lett. b), del
d.lgs.  n. 415/1996,  sicche'  era adeguatamente informata sui rischi
connessi alle operazioni di investimento di titoli ed aveva omesso di
fornire le comunicazioni sui propri obiettivi; che, nella specie, era
stata  adeguatamente  informata  dalla  dott.ssa  Basile, funzionaria
della  Banca,  circa  le  voci  in circolazione su eventuali dissesti
della  societa'; che la Banca stessa aveva avuto notizia del dissesto
della  Parmalat  solo  nel dicembre 2003 e che non rispondeva al vero
che nell'aprile del 2003 aveva dato alla Parmalat l'ordine di rientro
dall'esposizione  debitoria; che la Banca aveva, pertanto, rispettato
la normativa invocata da controparte e non aveva violato alcuna norma
imperativa;   che   non   sussisteva   percio'   alcuna   ipotesi  di
responsabilita' precontrattuale, contrattuale o extracontrattuale.
    Aggiungeva  che  l'attrice, con il suo comportamento colposo, non
disinvestendo  dopo  le  notizie  sulle difficolta' finanziarie della
Parmalat, aveva concorso nella produzione del danno.
    Concludeva,  pertanto,  per  il rigetto della domanda attorea; in
subordine,  in  via  riconvenzionale,  chiedeva accertarsi l'indebito
arricchimento  dell'attrice per le somme corrispondenti al valore (al
momento  della  condanna)  delle nuove azioni Parmalat da ottenere in
cambio  delle  obbligazioni  possedute, con conseguente compensazione
con  quelle  poste  a  carico della Banca convenuta, tenendo, in ogni
caso, conto del concorso dell'attrice nella determinazione del danno.
    Vertendosi  in  tema  di  azione  di nullita' o annullabilita' di
contratto  di negoziazione relativo ad un rapporto di intermediazione
finanziaria  ovvero  di  investimento  (di cui alla lett. d), art. 1,
d.lgs.    n. 5/2003)   e   di   responsabilita'   dell'intermediatore
finanziario, correttamente la causa veniva instaurata secondo il rito
«societario»  ai  sensi dell'art. 1, comma 5, d.lgs. n. 5/2003 avendo
il  giudizio  avuto  inizio  il  27  ottobre  2005  (data di notifica
dell'atto di citazione).
    Il  giudizio  veniva poi ritualmente proseguito dalle parti nelle
forme  del  nuovo  rito  societario  ed,  a  seguito  di  istanza  di
fissazione  dell'udienza  avanzata  da  parte  attrice e notificata a
controparti il 19 aprile 2006, il giudice relatore designato emetteva
decreto  di  fissazione  d'udienza  collegiale  (ex  art. 12,  d.lgs.
n. 5/2003)  con  cui  gia'  sottoponeva  alle  parti  la questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art. 12   della   legge   delega
n. 366/2001   per   genericita'  dei  criteri  direttivi  dettati  al
legislatore  delegato  e,  per derivazione, degli artt. da 2 a 17 del
d.lgs. n. 5/2003.
    All'esito  dell'udienza  collegiale del 4 ottobre 2006, in cui le
parti  si  sono  riportate  alle rispettive difese, il collegio si e'
riservata la decisione.
    La   questione   di   costituzionalita'   va  affrontata  in  via
preliminare rispetto alle altre questioni.

                         I n  d i r i t t o

    Il  Tribunale ritiene di dover riproporre nei medesimi termini la
questione  gia' rimessa da questa sezione del Tribunale di Napoli, in
composizione  parzialmente  diversa, nel procedimento n. 34675/2005 e
non ancora decisa dalla Corte costituzionale.
    Invero, l'art. 12 della legge di delega n. 366/2001 prevede che:
        «1.  -  Il  Governo e' inoltre delegato ad emanare norme che,
senza  modifiche della competenza per territorio e per materia, siano
dirette  ad  assicurare  una  piu'  rapida ed efficace definizione di
procedimenti nelle seguenti materie:
          a) diritto societario, comprese le controversie relative al
trasferimento delle partecipazioni sociali ed ai patti parasociali;
          b)  materie disciplinate dal testo unico delle disposizioni
in   materia  di  intermediazione  finanziaria,  di  cui  al  decreto
legislativo  24  febbraio  1998, n. 58, e successive modificazioni, e
dal  testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui
al  decreto  legislativo  1°  settembre  1993,  n. 385,  e successive
modificazioni.
        2.  - Per il perseguimento delle finalita' e nelle materie di
cui  al comma 1, il Governo e' delegato a dettare regole processuali,
che in particolare possano prevedere:
          a)  la  concentrazione  del procedimento e la riduzione dei
termini processuali;
          b) l'attribuzione di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
          c)  la  mera  facoltativita' della successiva instaurazione
della  causa  di  merito dopo l'emanazione di un provvedimento emesso
all'esito  di  un  procedimento  sommario cautelare in relazione alle
controversie  nelle  materie  di  cui  al comma 1, con la conseguente
definitivita'   degli   effetti   prodotti  da  detti  provvedimenti,
ancorche'  gli  stessi non acquistino efficacia di giudicato in altri
eventuali giudizi promossi per finalita' diverse;
          d)   un  giudizio  sommario  non  cautelare,  improntato  a
particolare   celerita'   ma   con  il  rispetto  del  principio  del
contraddittorio,  che  conduca  alla  emanazione  di un provvedimento
esecutivo anche se privo di efficacia di giudicato;
          e)  la  possibilita' per il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite;
          f)  uno  o  piu'  procedimenti  camerali, anche mediante la
modifica degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile
ed  in  estensione  delle  ipotesi  attualmente  previste, che, senza
compromettere  la  rapidita'  di  tali  procedimenti,  assicurino  il
rispetto dei principi del giusto processo;
          g)  forme  di  comunicazione  periodica  dei  tempi medi di
durata   dei  diversi  tipi  di  procedimento  di  cui  alle  lettere
precedenti  trattati  dai  tribunali,  dalle corti di appello e dalla
corte di cassazione
    In  relazione alla struttura che il legislatore delegato e' stato
chiamato a delineare per il processo ordinario - e con esclusione del
riferimento  ai  principi  dettati  in tema di giudizio cautelare che
concernono  profili  non  rilevanti in questo giudizio - dal disposto
dell'art. 12  della  legge  n. 366  del  2001  sono  estrapolabili  i
seguenti   principi:   1)   divieto   di  modifica  della  competenza
territoriale  e  per  materia;  2)  necessita' di assicurare una piu'
rapida  ed  efficace  definizione di procedimenti; 3) possibilita' di
dettare regole processuali, che in particolare possano prevedere:
        a)  la  concentrazione  del  procedimento  e la riduzione dei
termini processuali;
        b)  l'attribuzione  di tutte le controversie nelle materie di
cui al comma 1 al tribunale in composizione collegiale, salvo ipotesi
eccezionali  di  giudizio  monocratico in considerazione della natura
degli interessi coinvolti;
        c)  la  possibilita'  per  il giudice di operare un tentativo
preliminare di conciliazione, suggerendone espressamente gli elementi
essenziali,  assegnando eventualmente un termine per la modificazione
o  la rinnovazione di atti negoziali su cui verte la causa e, in caso
di    mancata    conciliazione,    tenendo    successivamente   conto
dell'atteggiamento  al  riguardo  assunto  dalle  parti ai fini della
decisione sulle spese di lite.
    Nella legge n. 366/2001 il legislatore, dunque, si e' limitato ad
indicare  le  materie  nelle  quali  il  governo  poteva intervenire,
l'obiettivo  di  rendere  piu'  rapida ed efficace la definizione dei
procedimenti, il divieto di modificare la competenza per territorio e
materia,   la   tendenziale   collegialita'   del   procedimento,  la
possibilita'  di  valutare  l'atteggiamento  delle  parti  in sede di
tentativo  di  conciliazione  e la possibilita' di dettare regole che
favorissero   la  riduzione  dei  termini  e  la  concentrazione  del
procedimento.
    L'assoluta  genericita'  e  parzialita' dell'indicazione relativa
alle   modalita'  da  seguire  per  la  realizzazione  dell'obiettivo
dichiarato   di   voler   assicurare  una  piu'  rapida  ed  efficace
definizione  di  procedimenti  nelle materie individuate, ha di fatto
lasciato  libero  il  legislatore delegato di creare un nuovo modello
processuale  che  esula  completamente  dallo schema del procedimento
ordinario disciplinato dal codice di procedura civile.
    A  fronte della situazione di fatto venutasi a creare che vede da
un lato una legge delega che nulla o quasi dice in ordine ai principi
direttivi  che  avrebbero  dovuto  ispirare il legislatore delegato e
dall'altro   un   decreto  legislativo  che  crea  un  nuovo  modello
processuale,  sovvertendo,  nelle  materie  indicate  dalla  legge di
delega,  i  tradizionali  canoni  che governano il processo civile, a
questo  collegio  si  pone neccssariamente una opzione interpretativa
che  in  ogni  caso  conduce  ad  un  dubbio  di costituzionalita' in
relazione all'art. 76 della Costituzione.
    Detta  opzione interpretativa, che questo collegio reputa come la
piu'  consona  allo  spirito del complesso normativo costituito dalla
legge  delega e dal decreto legislativo, e' quella di ritenere che il
legislatore    delegante   non   abbia   indicato   con   sufficiente
determinazione  i  principi  e criteri normativi che avrebbero dovuto
guidare  l'operato  del  legislatore  delegato e che quindi l'art. 12
della  legge  n. 366/2001 non soddisfi il precetto dell'art. 76 della
Costituzione  che  consente  la  delega dell'esercizio della funzione
legislativa  al  Governo  solo  previa  determinazione  di principi e
criteri direttivi.
    E'   pur  vero  che,  per  giurisprudenza  costante  della  Corte
costituzionale,  i  principi  direttivi  che l'art. 76 Cost. richiede
alla  legge  delega  non  escludono  la  possibilita'  di lasciare al
legislatore   delegato   un   ampio   margine   di   discrezionalita'
nell'individuazione  delle  modalita'  attraverso le quali realizzare
gli  obiettivi prefissati dalla legge delega. Il potere attribuito al
legislatore   delegato,   pero',  per  quanto  ampio,  non  puo'  mai
travalicare  il  limite della discrezionalita' nel senso che, come la
Corte  costituzionale  insegna, sin da risalenti pronunzie, «la legge
delegante   va   considerata   con   riferimento   all'art. 76  della
Costituzione,  per  accertare se sia stato rispettato il precetto che
ne  legittima  il processo formativo. L'art. 76 indica i limiti entro
cui  puo'  essere  conferito  al  Governo  l'esercizio della funzione
legislativa.  Per quanto la legge delegante sia a carattere normativo
generale, ma sempre vincolante per l'organo delegato, essa si pone in
funzione   di   limite   per  lo  sviluppo  dell'ulteriore  attivita'
legislativa  del  Governo. I limiti dei principi e criteri direttivi,
del  tempo  entro  il quale puo' essere emanata la legge delegata, di
oggetti  definiti,  servono da un lato a circoscrivere il campo della
delegazione  si'  da  evitare  che la delega venga esercitata in modo
divergente  dalle  finalita'  che la determinarono; devono dall'altro
consentire   al  potere  delegato  la  possibilita'  di  valutare  le
particolari  situazioni giuridiche della legislazione precedente, che
nella  legge  delegata deve trovare una nuova regolamentazione. Se la
legge  delegante  non  contiene, anche in parte, i cennati requisiti,
sorge   il  contrasto  tra  norma  dell'art. 76  e  norma  delegante,
denunciabile  al sindacato della Corte costituzionale, s'intende dopo
l'emanazione della legge delegata» (cfr. Corte Cost. 26 gennaio 1957,
n. 3).
    In  particolare,  per  quel  che  rileva in questa sede, nulla ha
detto  la legge delega in ordine allo schema processuale da adottare,
lasciato  non  piu'  alla  scelta  discrezionale, ma all'arbitrio del
legislatore  delegato,  come  emerge  chiaramente  dal  contenuto del
decreto  legislativo che ha creato un nuovo modello di processo al di
fuori delle regole dettate dal codice di procedura civile.
    Il  nuovo  rito societario previsto per il processo di cognizione
davanti  al tribunale costituisce infatti, come indicato dalla stessa
relazione  della  commissione  ministeriale,  un vero e proprio nuovo
modello  processuale,  che  si  distacca  volutamente sia dal modello
processuale  del 1942, sia da quello del processo del lavoro del 1973
ed  infine  anche  da  quello delineatosi con la riforma del 1990. Il
nuovo  rito  di  cognizione  di  primo  grado davanti al tribunale in
materia  societaria  prevede  tutta  la prima fase del processo senza
l'intervento del giudice; nell'atto di citazione ai sensi dell'art. 2
non  e'  piu'  indicata l'udienza avanti al giudice ed il termine che
l'attore  fissa  al  convenuto per la comunicazione della comparsa di
risposta  e'  stabilito  solo  nel  minimo;  cosi'  nella comparsa di
risposta  ai  sensi dell'art. 4 il convenuto puo' a sua volta fissare
all'attore  per  eventuale  replica  un  termine stabilito ancora una
volta  solo  nel minimo; con lo stesso meccanismo l'art. 6 prevede la
possibilita'  di  una  replica  da  parte  dell'attore  e l'art. 7 la
possibilita' di una controreplica da parte del convenuto e poi ancora
ulteriori  repliche  e controrepliche. Solo a seguito dell'istanza di
fissazione  di udienza di cui all'art. 8 interviene il giudice, in un
momento  pero'  in cui sia il thema decidendum che il thema probandum
si sono gia' definitivamente formati, totalmente al di fuori, quindi,
del controllo del giudice.
    D'altra parte la stessa istanza di fissazione di udienza, con gli
effetti  preclusivi  rilevantissimi  stabiliti  dall'art. 10,  e' uno
strumento lasciato nella totale disponibilita' delle parti o anche di
una  sola di esse, che puo' utilizzarlo a suo piacimento, nel momento
ritenuto piu' opportuno. Ancora poi va segnalato l'art. 13 in tema di
contumacia  o  costituzione  tardiva  del  convenuto,  che  introduce
l'innovativo  principio  (di cui nella delega non vi e' traccia), per
cui  nel  caso  in  cui  il  convenuto  non  notifichi la comparsa di
risposta   nel   termine   stabilito  o  anche  solo  si  costituisca
tardivamente  «i  fatti  affermati  dall'attore  ... si intendono non
contestati   e  il  tribunale  decide  sulla  domanda  in  base  alla
concludenza di questa».
    Da  quanto  precede  emerge  con  chiarezza  che  il  legislatore
delegato,  in  forza  di  una  delega  assolutamente carente sotto il
profilo  dell'indicazione  di criteri direttivi, ha potuto creare una
disciplina interamente nuova per il processo societario di cognizione
ordinaria,  anticipando  quel  rito  ordinario  prefigurato dal testo
redatto  dalla  commissione  ministeriale per la riforma del processo
civile.
    Non  reputa  questo tribunale che possa andare esente da dubbi di
costituzionalita' una legge di delega che nel consentire la creazione
di  un  nuovo processo, seppur circoscritto a determinate materie, si
limiti  ad  indicare  un  obiettivo,  quello  di «assicurare una piu'
rapida  ed efficace definizione di procedimenti», tra l'altro nemmeno
particolarmente qualificante in quanto comune a qualsivoglia progetto
di  riforma  del  processo  civile,  un  divieto  di  «modifica della
competenza  territoriale  e  per  materia»,  una  preferenza  per  la
collegialita',  un  rilevante  ruolo del tentativo di conciliazione e
un'indicazione   di   massima  a  favore  della  «concentrazione  del
procedimento e riduzione dei termini processuali».
    Di   conseguenza   ad   avviso   del   collegio,  in  quanto  non
manifestamente    infondata,    va    rimessa    la    questione   di
costituzionalita'  dell'art. 12  della  legge n. 336/2001 nella parte
relativa al procedimento ordinario di primo grado e, per derivazione,
degli  articoli  da  2 a 17 del decreto legislativo n. 5 del 2003 che
questo  giudice  e'  da  subito  chiamato  ad  applicare nel presente
giudizio  stante  la  fase  in  cui  lo stesso verte (successiva alla
udienza collegiale gia' tenutasi).
    La  questione e' altresi' rilevante in quanto, vertendosi in tema
di   nullita'   o  annullabilita'  di  contratto  di  intermediazione
finanziaria  e di responsabilita' dell'intermediatore finanziario, il
giudizio  come  gia'  detto  e'  stato correttamente instaurato nelle
forme  previste  dal  d.lgs.  n. 5  del  2003  emanato in forza della
predetta  legge  di  delega,  sicche'  dalla  pronunzia  della  Corte
costituzionale  dipende l'applicabilita' dell'intera nuova disciplina
processuale  ed,  in  particolare,  degli artt. da 2 a 17 del decreto
legislativo  n. 5  del  2003, alla concreta fattispecie sottoposta al
vaglio di questo tribunale.
    Tanto premesso in fatto e diritto, va disposta la sospensione del
presente   giudizio   e   la   trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale  per  la  decisone  sulla  questione  pregiudiziale di
legittimita'  costituzionale,  siccome rilevante e non manifestamente
infondata.   Alla  cancelleria  vanno  affidati  gli  adempimenti  di
competenza, ai sensi dell'art. 23 della legge li marzo 1953, n. 87.